Cosa fare immediatamente per detergere e disinfettare una ferita

  1. Detergere la ferita, per togliere residui e pulirla, attraverso l’irrigazione o il soft graze utilizzando soluzione fisiologica o acqua.
  2. Disinfettare la ferita, per ridurre ed evitare l’insorgenza di infezioni da agenti batterici o micotici, con le stesse tecniche della detersione ma usando agenti antisettici specifici.
Disinfettare le ferite
Detergere e disinfettare sono due atti irrinunciabili nel trattamento di una ferita acuta o cronica, insieme giocano un ruolo chiave per il suo destino; infatti favoriscono il processo di guarigione, allontanano il pericolo di colonizzazione di microrganismi e aumentano le probabilità di un risultato cosmetico definitivo soddisfacente.

Genericamente, per detersione si intende l’azione di pulire, il togliere via, detergere appunto, mentre per disinfezione intendiamo qualsiasi azione finalizzata alla riduzione del numero di germi: l’abbinamento dei due atti applicato nel contesto di una ferita assume il complesso significato di pulire via tutto ciò che ostacola la guarigione e di diluire la carica di microrganismi eventualmente presente.

Nonostante questa premessa sul chiaro significato prognostico delle due procedure, ancora oggi non esistono delle precise indicazioni sulle modalità di effettuazione: specie per la detersione non sono disponibili studi scientifici su come condurla e al momento ci si basa su pratiche ritualistiche o su consolidate opinioni di esperti di Wound Care di fama internazionale.

La pratica della disinfezione della ferita subisce la stessa sorte, essendo caratterizzata dalla mancanza di un condiviso consenso scientifico sia riguardo gli agenti antisettici che le modalità e i tempi di applicazione; inoltre né infermieri né medici possono contare su linee guida internazionali in grado di dirimere i leciti dubbi che spesso assillano gli operatori nella gestione quotidiana di ferite sporche o contaminate.

La procedura D2 è quindi propedeutica a qualsiasi altra manovra sulla ferita poiché essa ha lo scopo di facilitare la “visibilità” della lesione, in termini più tecnici detersione e disinfezione preparano la ferita per una valutazione diagnostica più accurata per lo specialista e più confortevole per il/la paziente.

Pulizia delle ferite

La principale funzione da attribuire alla detersione è quindi rimuovere: il materiale superficiale e poco aderente che si è stratificato sul fondo della ferita, i germi di superficie, l’essudato fluido depositatosi ed eventualmente i residui di precedenti medicazioni locali; alla disinfezione è riservata l’azione di ridurre:

  • la flora batterica e fungina patogena annidata al disotto dello strato superficiale
  • la carica microrganismica, potenzialmente pericolosa, presente sui margini perilesionali.

Come realizzare la procedura D2

Un corretto approccio alla procedura deve tenere conto di 3 elementi:

  1. tecnica di esecuzione,
  2. materiali
  3. agenti detergenti

La tecnica più utilizzata, ovvero quella che raccoglie i maggiori consensi tra gli esperti del settore, è rappresentata dalla irrigazione. Essa consiste nel lavare la ferita con uno strumento, ad una pressione definita , ad una temperatura adeguata e con un agente liquido consono. In sintesi i principali fattori che condizionano l’irrigazione sono:

  • la temperatura,
  • la quantità e le caratteristiche dell’agente detergente,
  • la pressione e la durata della procedura;

Un elemento importante da considerare è la corretta protezione dell’operatore con mascherina, cappellino e occhiali monouso.

Disinfettare le ferite

Solitamente la procedura viene eseguita con una siringa sterile da 30-35 ml applicandovi un ago o l’anima siliconica di un’ago-cannula di calibro 18-19 gauge (quest’ultima appare più sicura ed efficiente rispetto all’ago che resta a rischio di distacco improvviso – ad eccezione dell’attacco Luer-lock): una pressione convinta sullo stantuffo produce un getto alla P compresa tra 8 e 11 PSI (pounds per square inch) che rappresenta la spinta liquida ideale per ottenere una detersione efficace.

Una pressione inferiore avrebbe solo l’effetto di inumidire il fondo della lesione e non di pulizia superficiale, al contrario una P superiore sarebbe nociva per il trauma cellulare, l’azione negativa sul circolo capillare e tenderebbe a spingere in profondità materiale e batteri di superficie. Una pressione esagerata determinerebbe inoltre una contaminazione ambientale attraverso gli schizzi e l’aerosol di particelle dal fondo della lesione, è opportuno quindi sottolineare ancora l’importanza di indossare mezzi di protezione individuale per evitare la contaminazione delle prime vie aeree degli operatori da parte di germi presenti sulla superficie della ferita (es Staph. Aureo).

La pressione ideale (8-11 PSI) corrisponde grossolanamente a quella prodotta da un apparecchio idropulsore per l’igiene orale alla minima potenza; ma oltre alla pressione il fattore determinante è la temperatura dell’agente liquido, essa deve essere tarata su quella corporea e può oscillare tra i 37°C e i 39°C. Una temperatura congrua esercita un effetto benefico sul fondo e sui margini della ferita aumentando l’afflusso ematico e di conseguenza la tensione locale dell’ossigeno, risultando anche più confortevole per il paziente; viceversa una temperatura inadeguata (come potrebbe essere quella ambientale interna o in senso peggiorativo esterna) determina uno shock termico della ferita con vasocostrizione locale, danneggiamento del tessuto di granulazione e impatto negativo sul ricambio cellulare.

L’agente detergente ideale dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: non essere tossico nè allergogeno, restare attivo in presenza di materiale organico, essere in grado di diluire la carica microbica, economico e di facile stoccaggio; la presenza contemporanea di tutti questi caratteri è particolarmente difficile da reperire in un unico fluido, ma ci concentreremo sull’analisi dei 2 agenti liquidi più utilizzati per l’irrigazione delle ferite:

  1. la soluzione fisiologica (salina allo 0,9%)
  2. l’acqua potabile corrente (direttamente dal rubinetto).

La soluzione fisiologica è, con tutta probabilità, l’agente detergente più applicato nel mondo, è isotonica con i fluidi della ferita e per tale ragione non cede né sottrae liquido alla stessa; questa sua caratteristica gli permette da un lato di esercitare appieno l’azione meccanica di pulizia della ferita ma dall’altro ne fa un prodotto costoso e di gestione prevalentemente ospedaliera.

Il Setting è dunque un altro elemento condizionante la procedura D2, basti pensare alla situazione sanitaria di alcuni paesi del terzo mondo ove sarebbe impensabile sostenere costi superflui “solo” per gestire la pulizia della ferite; l’acqua di rubinetto (direttamente potabile o attraverso l’ausilio di filtri) o sterile dopo bollitura, risulta essere l’agente liquido più economico disponibile: essa però è ipotonica rispetto ai fluidi della lesione e dunque influenza la tensione osmotica con possibile insorgenza di edema locale e discomfort del paziente.

La letteratura scientifica di settore non offre attualmente alcuna evidenza se sia più opportuno applicare l’acqua di rubinetto o la soluzione salina per detergere le ferite, né esiste una consolidata base di consenso scientifico sui criteri di impiego dei 2 fluidi: certamente alle nostre latitudini la soluzione fisiologica (NaCl) trova più spazio di utilizzo rispetto all’acqua di rubinetto, anche se la scelta non è motivata da un reale razionale scientifico ma esclusivamente da ragioni pratiche e dall’abitudine degli operatori.

Individuati strumento, pressione, temperatura e tipo di agente liquido non ci resta che determinare la quantità di fluido da irrigare per raggiungere gli obiettivi prefissi: suggerirei di riempire la siringa almeno 10 volte cercando di indirizzare il flusso in tutte le direzioni e con diverso piano tangenziale.

L’irrigazione è la pratica più diffusa ma non l’unica per detergere una ferita, è da menzionare la tecnica Soft Graze , ovvero quella manovra di delicato sfregamento della garza imbevuta di NaCl  sul fondo della lesione: essa non corrisponde in alcun modo al “soft debridement” poiché non si esercita alcuna forza di rimozione di tessuto devitalizzato nè tantomeno di necrosi;

il Soft Graze agisce con le medesime caratteristiche della irrigazione ma con un diverso strumento. Tale procedura è certamente più condizionata dalla manualità dell’operatore e la sua esecuzione non segue delle regole fisse in termini di pressione e temperatura, ma in assenza di fistolizzazioni, tunnels, o ampie sottominature raggiunge gli stessi obiettivi.

Nella trattazione della procedura D2 è opportuno introdurre il concetto di agente detergente ed antisettico: NaCl e acqua corrente non svolgono infatti alcuna azione contro i microrganismi presenti sul fondo della ferita e restano ottimi fluidi per la semplice detersione.

La procedura sinergica D2 invece richiede l’utilizzo di agenti anche capaci di ridurre il numero dei germi presenti nel letto della ferita quindi disinfettare la ferita,  e la scelta di irrigare questa con una soluzione antisettica, applicando gli stessi criteri già menzionati, risulta estremamente funzionale ed efficace.

Anche la tecnica Soft Graze si può avvalere di un agente antisettico che, saturata la garza, agirà con duplice modalità, fisica e chimica a danno dei germi presenti. L’impiego di una soluzione antisettica come agente irrigante rappresenta una soluzione economicamente più onerosa ma rende molto più efficiente la procedura D2 amplificando gli effetti del semplice lavaggio meccanico con l’azione chimica della soluzione, in questa evenienza va dato ampio significato al fattore tempo di applicazione dell’agente antisettico: dopo l’irrigazione o il Soft Graze la soluzione va lasciata agire sulla ferita, nelle sottominature, fistolizzazioni o tunnels per almeno 10 minuti alfine di ottenere il massimo risultato antibatterico.

Gli agenti antisettici, per tipologia e meccanismo di azione, presentano comunque un diverso grado di tossicità tessutale: tale considerazione, pur trovando valide conferme nella letteratura scientifica e ampi consensi tra gli esperti di Wound Care, non impedisce una scelta ragionata e motivata dell’agente con minore istolesività.

Nella mia esperienza pluriennale, avendo testato un gran numero di fluidi antisettici, anche a varie concentrazioni, per eseguire disinfezioni accurate, ho potuto evidenziare pregi e difetti di ciascuno: da qualche anno mi sono orientato sull’utilizzo della Poliesanide-Betaina che sembra essere un ottimo antisettico, un efficace detergente con una eccellente tolleranza tessutale.La Poliesanide, come agente irrigante o imbibente, è particolarmente attivo in presenza di germi multiresistenti, sia in fase fluttuante che aggregata (Biofilm).

La procedura D2, in caso di lesioni multiple, effettivamente può essere condotta anche attraverso la tecnica della Immersione, essa consiste nel lavare le ferite con soluzioni antisettiche diluite in cui la parte anatomica colpita (talora l’intero corpo) viene immersa: con l’ausilio di garze di cotone o spugne morbide e un getto delicato d’acqua, si deterge la superficie delle lesioni cutanee realizzando una sorta di detersione fisico-chimica favorita dalla idratazione-imbibizione delle parti devitalizzate; la tecnica della immersione è impiegata di routine per gestire le ustioni interessanti ampie zone corporee: il contatto diretto e prolungato con fluidi a temperatura corporea favorisce il distacco di tutte le parti superficiali da asportare dal fondo delle lesioni.

In sintesi la procedura D2, con qualsiasi tecnica venga realizzata, rappresenta un passaggio fondamentale nella gestione delle ferite acute e croniche, sia nei pazienti ospedalizzati (ricovero o ambulatorio) che ancora di più nei soggetti seguiti a domicilio.

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