L’individuazione di una ferita a rischio è apparentemente un procedimento logico piuttosto complicato che deve tenere conto di un insieme di fattori riguardanti sia l’organismo nel suo complesso che la ferita nelle caratteristiche fondamentali, sia le misure di antisepsi dell’operatore che le condizioni igieniche dell’ambiente sociale in cui l’ammalato vive.
Le ferite a rischio d’infezione sono una entità definita e precisa e il loro inquadramento non può dipendere da un approccio clinico superficiale e approssimativo caratterizzato da un errato esame obiettivo locale (cattiva interpretazione del colore della cute peri-lesionale o del fondo della lesione con diagnosi di quadri infettivi inesistenti), da impropria raccolta anamnestica e da assenza di valutazione globale dell’individuo.
Il Vulnologo, affrontando una ferita dai caratteri dubbi, deve rammentare tutte le condizioni di rischio endogene, esogene e di natura immunologica che potrebbero favorire una evoluzione infettiva locale.
I principali fattori endogeni, ovvero correlati all’individuo stesso, sono:
- età avanzata
- prematurità
- stati di malnutrizione
- obesità
- malattie gravi pre-esistenti
- terapie immunosoppressive
- difetti immunologici congeniti ed acquisiti.
La gamma delle situazioni esogene, predisponenti alla complicanza infettiva, è piuttosto ampia ed è rappresentata essenzialmente da:
- ustioni
- ferite traumatiche o con presenza di corpi estranei
- complicanze post-chirurgiche
- morsi di animale
- localizzazioni anatomiche peculiari
- ambienti lavorativi particolari
- rilevante virulenza dell’agente patogeno presente
- tabagismo
In particolare, la chirurgia cardiaca, addominale e ortopedica degli arti inferiori presentano un alto rischio di evoluzione infettiva delle ferite; le complicanze chirurgiche che con maggiore frequenza sono associate alla infezione delle ferite sono le deiscenze primarie e secondarie (reinterventi), gli “Skin Breakdown” come necrosi cutanee parcellari o flittene, le fistolizzazioni cutanee di ematomi o sieromi sub-dermici e sottocutanei.
La presenza di presidi medici esterni come cannule, cateteri, sonde, o fissatori ossei amplifica il rischio di involuzione infettiva, indipendentemente dalla localizzazione anatomica. Altro fattore determinante è la patogenicità dell’agente microbico riscontrato con tampone o biopsia colturale sul fondo o nei recessi della ferita: in microbiologia il rischio di infezione corrisponde al risultato di una frazione che ha al numeratore il numero degli agenti patogeni moltiplicata la loro virulenza mentre il denominatore è rappresentato dalla competenza immunologica dell’ospite. Non si può dunque dimenticare il trattamento speciale che va riservato alle cinque specie batteriche emergenti e super-resistenti che possono contraddistinguere una ferita a rischio d’infezione: 1.MRSA (Methicillin-resistant Staph. Aureo) 2.VRSA (Vancomicin-resistant Staph. Aureo) 3.ESBL (Extended Spectrum Beta-Lactamase) 4.VRE (Vancomicin-resistant Enterococcus) 5.MRAB (Multidrug-resistant Acinetobacter Baumanii).
Un Panel di esperti ha condiviso l’esigenza di realizzare una scala di misurazione del livello di rischio d’infezione di una ferita, attribuendo un punteggio ad ogni singola condizione predisponente: la contemporanea presenza di uno o più fattori esogeni e/o endogeni aumenterà naturalmente il livello di rischio (vedi tabelle I,II, e III).
Tabella I
Tabella II
Tabella III
Quando il punteggio riscontrato per una ferita è superiore a 3, si configura un serio rischio di infezione locale e sarà necessario predisporre un trattamento locale specifico idoneo a prevenire o combattere lo stato infettivo locale.
La gestione terapeutica di una ferita ad alto rischio di sviluppare un’infezione locale (W.A.R. Score >3 punti) dovrà dunque seguire degli steps operativi obbligatori e rispondenti ai principi dell’antisepsi e del controllo dell’essudato; i passaggi fondamentali dell’approccio ad una ferita con alto W.A.R. score sono i seguenti:
- Detersione con soluzione antisettica ad alto potere battericida (evitare soluzioni più economiche come NaCl o acqua di rubinetto ma prive di potere antibatterico) per un tempo congruo (almeno 10 minuti).
- Applicare medicazioni tecnologiche, non aderenti, ad azione antisettica prediligendo le capacità assorbenti in caso di essudazione cospicua ed un agente antibatterico scarsamente istolesivo.
- Lasciare la medicazione in situ il tempo massimo, previsto per la tipologia, per evitare di interferire con il processo di riparazione.
- Rivalutare i caratteri della ferita ad ogni cambio di medicazione, monitorando segni e sintomi dell’infezione locale e considerando l’eventuale introduzione di una terapia antibiotica sistemica.
Quest’ultima sarà effettuata sulla scorta dell’antibiogramma contenuto nel referto quali-quantitativo del tampone/biopsia colturale
La persistenza dei segni d’infezione locale o il viraggio verso una forma d’infezione subdola (Biofilm) dovrebbero consigliare il Vulnologo di completare la strategia terapeutica descritta con una serie di debridements (meccanici o chirurgici) settimanali, allo scopo di evitare la riorganizzazione microrganismica sul fondo della lesione.
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